Vai al contenuto principale

Un viaggio nel tempo: La storia della Fisica all'Università di Torino


Nel 1720 la fisica è presente nell’Università torinese con una cattedra, all’inizio nella Facoltà di Medicina, Filosofia e Arti. Dopo la trasformazione in Regno dei Possedimenti del Duca di Savoia viene dato un nuovo assetto all’Università col riordino del 1737 in quattro facoltà. L’insegnamento di Fisica (con annesso gabinetto di macchine) era allora presente con una cattedra nella Facoltà delle Arti, insieme alla Matematica, alla Filosofia e all’Eloquenza.
Fino al 1748 l’insegnamento della fisica è impartito dai padri Roma prima e Garro poi. Entrambi appartenevano all’ordine dei Minimi i cui membri si dedicavano allo studio dei fenomeni-naturali. Invero i due padri erano più inclini alle questioni di etica, e il loro insegnamento era improntato al cartesianesimo più che alla ispirazione galileiana e newtoniana. Garro raccoglie nel Gabinetto di fisica un certo numero di macchine da esperienze, anche prima della nota visita dell’abate Nollet. Nollet, il quale invitato dal re tra il 1739 e il 1740 si esibisce a corte in esperienze con macchine elettriche che poi lascia al Gabinetto di fisica.
Il passaggio alla fisica nuova e sperimentale avviene nel 1748 con la nomina di padre Giovanni Battista (al secolo Francesco) Beccaria (1716-1781). Carlo Emanuele III voleva chiamare il gesuita newtoniano Francesco Jacquier, ma si lascia convincere dal conte Morozzo, riformatore degli studi, a firmare il decreto di nomina di padre Beccaria. Questi era studioso di matematica e di fisica, oltre che erudito conoscitore delle opere degli scienziati, da Euclide a Galileo e Newton. Fautore del metodo sperimentale, si dichiarava galileiano e newtoniano.
Alle sue sperimentazioni Beccaria ammette tre giovani colti e dedicati alla nuova scienza sperimentale: il conte Giuseppe Saluzzo di Monesiglio (classe 1734), Gianfrancesco Cigna (stesso anno) e Giuseppe Luigi Lagrange, nato due anni dopo, che frequentano il Gabinetto e partecipano alle esperienze.

Nel 1757 i tre fonderanno la Società Scientifica che poi nel 1783 con patente regia si trasformerà in Accademia delle Scienze. Tra questo gruppo e Beccaria si apre però un’aspra contesa a proposito dell’interpretazione della calcinazione dei metalli. E' Beccaria ad aver interpretato giusto, sostenendo sulla base di esperimenti molto precisi che il metallo calcinato pesa di più e quindi ha assorbito qualcosa dall’aria. Così l’atmosfera tra il professore da una parte e i tre giovani dall’altra si guasta. Lagrange si occupò poi con maggiore perizia della meccanica analitica e lasciò Torino nel 1767 per Berlino, ospite per vent’anni di Federico il Grande.
Cigna fu soprattutto medico (Beccaria lo chiamò al suo letto di morte), anche se continuò a dedicare tempo agli studi di fisica.
Lorenzo Romano Amedeo Carlo Avogadro, conte di Quaregna e Cerreto (Torino, 9 agosto 1776 – Torino, 9 luglio 1856), è stato un chimico e fisico italiano.

Il cognome della famiglia derivava da un’antica usanza, secondo la quale, gli avvocati che avevano recato utili servizi alle chiese erano autorizzati a rendere ereditaria la professione di   avvocatura. Con il passare del tempo capitava che il nome di alcuni casati andasse perduto e che esso fosse sostituito con un semplice de Advocatis, da cui Advocarii, Avogarii, Avogadri.
Si laureò molto giovane (vent'anni; 1796) in diritto canonico e iniziò a praticare. Comunque, poco dopo si dedicò allo studio della fisica e della matematica, le sue scienze preferite; dal 1800 egli era divenuto discepolo di Vassalli Eandi  fisico e matematico insigne; dopo uno studio di 5 anni, nel 1806 fu nominato ripetitore nel Regio Collegio delle Province di Torino e dopo qualche anno (1809) professore di matematica e fisica nel Liceo o Collegio di Vercelli, dove mantenne l’incarico fino al 1819.

Durante la sua permanenza a Vercelli scrisse una memoria nella quale formulò un'ipotesi che viene oggi chiamata Legge di Avogadro.
La principale difficoltà che Avogadro dovette risolvere fu la grande confusione che regnava al tempo su atomi e molecole – uno dei più importanti contributi del lavoro di Avogadro fu quello di distinguere gli uni dalle altre, ammettendo che anche particelle semplici potevano essere composte da molecole, e che queste ultime sono composte da atomi. John Dalton, ad esempio, non considerava questa possibilità. Avogadro in realtà non usò la parola "atomo" in quanto i termini "atomo" e "molecola" erano usati in maniera quasi indistinta. Egli considerava l'esistenza di tre tipi di "molecole", comprese le "molecole elementari" (i nostri "atomi"). Oltre a ciò, diede una particolare attenzione alla definizione di massa, come distinta dal peso.

Con l’istituzione dell’Università di Torino, voluta per decreto del 6 novembre 1820 dal re Vittorio Emanuele I, Avogadro ottenne la prima cattedra di fisica sublime che mantenne solo fino al 1821 quando, a causa dei moti rivoluzionari, furono soppresse molte cattedre universitarie senza nessun riguardo per i meriti scientifici dei relativi docenti (o, come venne dichiarato ufficialmente, l'università era «lieta di permettere a questo interessante scienziato, di prendere una pausa di riposo dai pesanti doveri dell'insegnamento, in modo da essere in grado di dare una migliore attenzione alle sue ricerche»).  In realtà, come è noto, si volevano punire non tanto gli uomini, ma l’Università come istituzione, fucina di idee di progresso e quindi, di riflesso, la scienza!
Il fisico torinese fu nominato allora Mastro Uditore nella Real Camera dei Conti. Nel 1832 Carlo Alberto ripristinò le cattedre universitarie soppresse dal suo predecessore. Quando la cattedra di Fisica Sublime all'Università di Torino fu ripristinata venne affidata al celebre Cauchy, che l'abbandonò circa un anno dopo. L'insegnamento fu così nuovamente assegnato ad Avogadro, il quale lo tenne dal 1834 al 1850, anno nel quale lasciò l’insegnamento al suo allievo Felice Chiò. Morì nel 1856 e venne sepolto nel cimitero di Quaregna in provincia di Biella. 

  A parte qualche eccezione, sulla fisica italiana tra la seconda metà del secolo e gli anni della rinascita (dopo il 1920) comincia a pesare la scarsa concentrazione di scienziati, l’assenza di un centro nazionale in grado di promuovere idee e coordinare attività, la mancanza di mezzi e laboratori in cui affrontare i problemi più avanzati. I fisici erano pochi: le cattedre di Fisica (essenzialmente Fisica Sperimentale e Fisica per Medicina) erano 13 nel 1872 e 20 nel 1927; nel 1872 gli assistenti erano 15 mentre nel 1927 erano 45. Facevano poi ricerca in fisica un certo numero di professori di ruolo dei Licei. Questo fu un canale abituale di reclutamento della docenza universitaria. Ma il numero globale restò scarso e i fisici furono diluiti tra le varie sedi. L’Italia umbertina era povera; l’amministrazione centrale non assegnava fondi per la ricerca: le dotazioni per le necessità quotidiane degli Istituti erano assegnate solo in sede locale.

Nella fisica italiana mancava quasi sempre la guida della teoria. La fisica si stava avviando verso una complessità formale senza paragone. Solo con la promozione della componente teorica (le prime tre cattedre di Fisica Teorica furono assegnate nel 1927) se ne pose rimedio. In particolare a Torino, tra gli ultimi decenni del secolo e la seconda guerra mondiale, la fisica accentuò un carattere eclettico ed eccessivamente empirico, con sottovalutazione delle indicazioni teoriche, lontana dai grandi temi. Essa si disperdeva nell’analisi del comportamento dei corpi materiali, senza centrare, spesso, le questioni più interessanti.

 Di termologia, chimica-fisica, elettrostatica, termoelettricità, conduzione nei gas, fotoelettricità si occupò Andrea Nàccari, che a Torino tenne la cattedra di Fisica Generale e Sperimentale dal 1878 al 1916. Nàccari fu un bravo sperimentatore di grande pulizia e perizia tecnica, i suoi esperimenti erano ben preparati e i risultati molto affidabili. Compì una serie di esperimenti alla ricerca di effetti di schermaggio della gravità e tentò di dimostrare che l’etere esisteva (in contrasto alla relatività einsteiniana). Mancava però la fisica nuova: spettroscopia, atomismo (di cui pur Avogadro era uno dei fondatori).

Dobbiamo a Nàccari l’iniziativa della costruzione del nuovo Istituto di corso D’Azeglio, inaugurato nel novembre 1898. La pianta era a forma di H, con due piani fuori terra (il terzo piano fu aggiunto nel 1961) e uno sotterraneo, ed era progettato con moltissimo spazio (la parte a sud era occupata dall’Istituto di Igiene). Fu un grande progresso rispetto alle due stanze e al laboratorio che Fisica occupava nell’edificio di via Po. La costruzione fu finanziata, come per gli altri istituti del Valentino, da un Consorzio cui partecipavano Comune, Provincia e Governo. In realtà l’Istituto, la cui costruzione cominciò nel 1886, venne terminato già nel 1893, ma per quattro anni mancarono i soldi per arredarlo.
Nàccari ebbe parecchi studenti da fuori, alcuni dei quali occuparono poi cattedre di prestigio: parliamo soprattutto di Angelo Battelli (1862-1916) e Antonio Garbasso (1861-1933). Il primo fu uno dei fondatori della Società Italiana di Fisica; Garbasso seppe promuovere a Firenze la formazione dì un gruppo di giovani della nuova scuola quantistica e particellare.
A Torino Battelli si occupò dapprima di fenomeni termoelettrici, in particolare di effetti Thomson e Peltier, e di proprietà delle leghe. Per questi ebbe due premi ministeriali. Si dedicò poi alle proprietà termiche dei vapori, in particolare alla determinazione delle proprietà al punto critico. Gli esperimenti relativi furono svolti ancora nel vecchio gabinetto di fisica sistemato in due stanzoni al piano terreno dell'edificio di via Po (il trasloco nell'edificio di corso D'Azeglio sarebbe avvenuto solo nell'autunno del 1898) e i lavori furono pubblicati negli Atti della Accademia delle Scienze e gli valsero il Premio Bressa.

Una volta andato Andrea Nàccari fuori ruolo, la Facoltà chiamò nell’ottobre 1916 da Genova Luigi Puccianti (1875-1952). Questi però nella primavera seguente accettò di tornare a Pisa da cui proveniva. Fu quindi chiamato il romano Alfredo Pochettino (cattedra dal 1916 al 1946), che non partecipa al rinnovamento della fisica ma prosegue con ricerche su vari aspetti della fisica classica: elettricità, atmosfera (con ascensioni in pallone) e stato solido.
La grande stagione del rinnovamento si avvicina. Enrico Persico, proveniente dalla scuola romana, grande esperto di meccanica quantistica, tiene la nuova cattedra di Fisica teorica dal 1930 fino al 1947, insegnando la meccanica quantistica e la fisica matematica. E sia pure in anni difficili prepara un gruppo di giovani con un lavoro i cui frutti verranno raccolti dopo la guerra.
Romolo Deaglio regge la cattedra di Fisica superiore dal 1942 al 1969. Esperto in misure di precisione, fonda il reparto di fotometria all’Istituto Nazionale Galileo Ferraris organizzando il lavoro con nuovi metodi e attrezzature. Dal 1947 si dedica all’Istituto fisico con energia e capacità organizzativa per creare un istituto moderno: seleziona colleghi e giovani laureati per fondare le nuove attività dell’istituto: fisica dei nuclei e delle particelle. Con senso dell’istituzione e lungimiranza chiama, nel novembre 1949, Gleb Wataghin alla cattedra di Fisica generale e sperimentale, e quindi la terna dirigente dell’istituto si completa con la chiamata di Mario Verde, giovanissimo vincitore del concorso di Fisica teorica nel 1950.
 Wataghin è ben noto all’ambiente torinese dove era giunto nel 1920 e dove si era laureato. A lungo professore alla Scuola Militare, fu per un certo tempo l’unico fisico a Torino che sostenesse, tra gli anni Venti e Trenta, la nuova fisica quantistica. Estremamente versatile, capace di lavorare nella teoria come nella fisica sperimentale, all’avvicinarsi della guerra si era trasferito in Brasile dove è oggi considerato uno dei padri fondatori della fisica.

 

 

Ultimo aggiornamento: 06/09/2023 08:40
Non cliccare qui!